È vietato il lavoro ai non addetti all’ingresso
Cinque ex studentesse di Didattica si raccontano
Ogni tanto essere una studentessa di Didattica Museale è una tale fatica… Non sto parlando dei corsi, ma della gente che con candore ti chiede: «Cosa studi?». A quel punto tu prendi un bel respiro, una lunga pausa e rispondi: «Didattica dell’arte per i musei», preparandoti alla seconda domanda che di lì a poco uscirà dalla bocca del tuo interlocutore: «ma quindi, cosa fai?». Solo una volta in tre anni mi è capitato che chi mi avesse fatto la prima domanda avesse capito subito di cosa stessi parlando, devo ammetterlo, mi sono quasi commossa.
Tornando a tre anni fa, uno dei primi articoli della redazione di Didattica Museale non era un semplice articolo di presentazione, ma era una sorta di Manifesto per tutti i “non addetti ai lavori”, per capire, cosa studiamo durante i cinque anni in Accademia. Si, perché ogni volta che un parente, uno sconosciuto o semplicemente un altro studente ci chiede che corso facciamo, la nostra espressione del viso alla risposta “didattica dell’arte per i musei” è molto simile a quella di una mucca davanti ad un passaggio a livello.
Come in tutte le conversazioni riguardo all’università, e alle quali non puoi scappare, qualunque cosa tu studi, dopo aver spiegato quello che fai e i corsi che frequenti, la fatidica domanda è “Ma quindi dopo cosa diventi?” Sì, perché dopo aver risolto il problema di spiegare cosa stiamo studiando, alle persone che ci chiedono, sorge il problema: come spiegare quello che faremo dopo?
«Esperto di didattica museale, progettista della comunicazione artistica, supporto al curatore di mostre ed eventi, responsabile della comunicazione dell’evento culturale». Questo è quello che dovremmo diventare secondo il sito dell’Accademia dopo il biennio specialistico di Comunicazione e Didattica dell’Arte, ma nella realtà, quanto è vero?
Quindi, per tutti quelli che stanno frequentando questo corso o che vorrebbero, e per tutti i curiosi che non hanno idea in cosa ci trasformeremo riposta la corona d’alloro, ecco cinque preziose testimonianze di studentesse che hanno terminato il biennio specialistico.
Claudia Capelli
Perché hai scelto di frequentare l’Accademia e cosa ti ha spinto a continuare il tuo percorso di studi con il biennio in Comunicazione e Didattica dell’Arte?
Durante il liceo scientifico ho notato che in geometria analitica usavo più la creatività e l’estetica nel risolvere le equazioni rispetto alle formule: le curve che disegnavo erano bellissime per me, un po’ meno per il mio professore! Ho sempre trovato straordinario l’immaginario che ognuno di noi si porta dentro, come le piccole cose possono diventare fonte d’ispirazione; mi affascina il modo e la sensibilità con cui gli artisti vedono il mondo e plasmano un’idea con media diversi, ma soprattutto…la libertà di dar voce alla creatività senza ritrovarsi il foglio pieno di macchie rosse come se Pollock avesse sbagliato la mira e invece della sua tela avesse colpito la mia verifica di matematica. Così mi sono iscritta all’Accademia dove 3+2 non fa 5, ma X e il valore di X dipende solo da noi, in base a quanto siamo disposti a metterci in gioco e ad apprendere. Credo sia stata la voglia irrefrenabile di conoscere e l’entusiasmo a farmi proseguire con il biennio. Sentivo il bisogno di raccogliere esperienze, di scovare cose e intanto chiarirmi le idee su ciò che mi sarebbe piaciuto fare una volta uscita.
Cosa stai facendo nell’ambito del tuo percorso di studi e come ci sei arrivata?
In questo momento lavoro al PAC Padiglione d’Arte Contemporanea a Milano e mi occupo principalmente delle comunicazione sia off-line che on-line non solo delle mostre, ma anche di ciò che concerne il PAC in quanto spazio espositivo e luogo di conoscenza. Ad ogni mostra bisogna ripartir da zero e il mio istinto a creare per poi radere al suolo ha trovato un terreno molto fertile. Documento il backstage, mi rapporto con artisti, curatori e uffici stampa, creo materiali ad-hoc in base alle esigenze: insomma la noia non osa far capolino dalla porta. Come ci sono arrivata? Con un bando di Servizio Civilea cui il PAC aveva aderito: cercavano qualcuno nell’ambito della comunicazione museale. L’idea di fare un’esperienza – anche di un solo anno – in un luogo dinamico e dal respiro internazionale mi allettava troppo e così ho fatto domanda e superate le selezioni ho iniziato a lavorare lì come volontaria. Scaduto l’anno, hanno deciso di tenermi con loro come libera professionista. Dopodiché ogni tanto mi sgancio dall’ambito strettamente museale e impagino cataloghi, creo la grafica per degli eventi/mostre, oppure documento backstage e progetti per conto di terzi o amici: sono cose che mi appassionano molto.
Ad oggi, quanto credi sia stato determinante questo percorso per quello che stai facendo? Ci sono state materie o professori che hanno avuto un ruolo determinante nella tua formazione?
L’Accademia permette di fare esperienze e sono quelle che fanno crescere di più sia a livello personale che lavorativo. Se le basi che costruisci sono solide, dopodiché sopra puoi decidere se fabbricare una capanna, una casa o una fortezza. Hai a disposizione tutti gli elementi e sta a te metterli insieme e scegliere cosa erigere una volta uscita. Più si conosce, più si hanno opinioni; più cose si scoprono, più si è consapevoli delle proprie scelte e delle strade che si vogliono intraprendere. Ciò vale per ogni ambito.
Andrei all’inaugurazione di qualsiasi cosa, anche di una toilette.
– Andy Warhol
Non esistono materie determinanti, ma persone determinanti.
Nel triennio non posso non fare i nomi del prof. Angelo Vigo e della prof.ssa Lorenza Roverato, che avevano visto nella mia timidezza e nel mio essere un po’ schiva non un punto debole, ma un punto di forza (anche se ora sono migliorata!). Il triennio è come stare in un porto sicuro, ma se si vuole fare gli avventurieri e scoprire cosa c’è oltre bisogna solcare l’oceano del biennioe lasciarsi ribaltare dalle onde e così è stato per me con il prof. Alessandro Mancassola: l’onda di cui avevo più bisogno in assoluto. Le onde crescono, ribaltano, cambiano e alla fine ti riportano a riva con un tesoro inestimabile.
Quali sono i tuoi progetti o le aspirazioni per il futuro?
Non so esattamente, ma credo che chiunque desideri lavorare con l’arte e per l’arte, che sia artista o curatore o critico o …, ha scelto il più bel mestiere del mondo, ma anche il più difficile.
Salvaguardare la bellezza, essere sempre in cerca della sensibilità, esplorare le emozioni, cercare di infiltrare l’assurdo nel buon senso senza tralasciare un pizzico di fantasia, stupore e follia: questo è ciò che desidero e che amo fare, il come esprimerlo poi dipende da noi.
Dobbiamo tutti abituarci all’idea che non ci sono chiavi e che non ci sono serrature. Solo porte girevoli.
– Maurizio Cattelan
Alice Vangelisti
Perché hai scelto di frequentare l’Accademia e cosa ti ha spinto a continuare il tuo percorso di studi con il biennio in Comunicazione e Didattica dell’Arte?
Sono partita da un liceo linguistico, ma dopo cinque anni la mia idea era di fare qualcosa che fosse inerente con la mia passione: l’arte. All’inizio non conoscevo l’Accademia, poi una mia amica mi obbliga ad andare ad un open day dove era presente una ragazza che stava presentando un progetto di Didattica e ne sono rimasta subito affascinata. Sono venuta per l’open day in Accademia e ho deciso subito di iscrivermi perché mi offriva la possibilità di trasmettere alle persone quello che era la mia personale idea di arte. Nei primi tre anni quello che per me era importante era lavorare con i bambini o comunque attraverso i laboratori didattici, non avevo invece mai preso in considerazione la curatela come mezzo per esprimere questa mia passione. Alla fine del terzo anno ho deciso di iscrivermi al biennio quasi per continuare un percorso e completarlo. Non ero sicura al cento percento di quello che volevo fare però con l’inizio del biennio ho capito che la mia idea stava cambiando, non era più quella di lavorare solo con le visite guidate e laboratori per bambini, ma piuttosto prendere un’altra strada. Questa strada era quella della curatela attraverso quindi la creazione di eventi, manifestazioni e mostre.
Cosa stai facendo nell’ambito del tuo percorso di studi e come ci sei arrivata?
La tesi è iniziata con l’idea di lavorare con l’arte contemporanea e sopratutto con il mio territorio, con il quale percepisco questo legame molto forte che mi lega alla mia terra di origine: la Valle Camonica. L’idea era che fin da subito fosse un progetto che andasse oltre la semplice tesi. Certo nasceva a quello scopo, ma volevo che andasse oltre e che diventasse un’occasione per me per lavorare anche negli anni successivi. Si è infatti sviluppato fin da subito come un progetto, a mio avviso, già molto professionale, l’idea era di dare agli artisti già questa idea, di una proposta che sarebbe stata portata avanti negli anni, e non solo come un’esperienza episodica. Questo perché il fenomeno della residenza artistica, soprattutto in Italia, è un’esperienza spesso molto saltuaria, queste piccole residenze ci sono un anno e poi spariscono per poi ricomparire. Da qui appunto la mia idea: creare un progetto che avesse una continuità nel tempo, che fosse stabile e in un posto preciso, con una caratteristica definita fin dall’inizio e che rispecchiasse quella che era la mia idea che mi sono potuta costruire grazie a questi anni in Accademia.
Ad oggi, quanto credi sia stato determinante questo percorso per quello che stai facendo? Ci sono state materie o professori che hanno avuto un ruolo determinante nella tua formazione?
Quando sono arrivata facevo molta fatica a interagire e a interfacciarmi con il pubblico a causa della mia timidezza. I primi tre anni mi hanno aiutato molto da questo punto di vista, mi hanno insegnato a instaurare un rapporto con il pubblico, in particolare con i bambini, ma anche con diversi tipi di utenti attraverso le visite guidate: infatti, interfacciarsi con persone sempre diverse aiuta molto a crescere. Per quanto riguarda la curatela è stata davvero un’illuminazione che mi ha aiutato ad aprirmi ancora di più. Per me durante il triennio l’arte finiva con Caravaggio, la mia tesi triennale era infatti sull’arte sacra del Quattrocento. Con il biennio ho invece subito una svolta completa attraverso l’arte contemporaneasoprattutto grazie al rapporto che si crea con gli artisti. Una collaborazione, un confronto costante che mi ha aiutata a crescere ulteriormente e che mi ha permesso non solo di prendere sicurezza in me stessa ma anche di indagare meglio le mie capacità e le mie competenze in questo ambito. Le figure che mi hanno aiutato tantissimo in questo senso sono stati il professor Alessandro Mancassola, mio relatore di tesi e il professor Matteo Galbiati che sta collaborando con me con la residenza artistica e che sono stati due fari per quanto riguarda la scoperta dell’arte contemporanea.
Quali sono i tuoi progetti o le aspirazioni per il futuro?
Al momento sto lavorando ancora alla residenza, a breve uscirà il bando per la seconda edizione e nel frattempo sto collaborando con altre realtà, una di queste ad esempio è Bienno Borgo degli artisti che è un’associazione che crea una residenza artistica nel borgo medievale di Bienno. Si trova anche questa realtà in Valle Camonica, perché come ho detto prima sento questo legame con il mio territorio e con l’idea di valorizzare il patrimonio storico, artistico e culturale già presente, ma riuscire a farlo anche attraverso le nuove generazioni attraverso il punto di vista di artisti che vengono anche da fuori. Nel primo anno della residenza con Falía abbiamo avuto tre artisti stranieri, uno dal Canada, uno dalla Bulgaria e uno dalla Francia ed era interessante vedere non solo come l’artista Italiano che vive fuori dalla Valle Camonica vede il territorio ma anche come un artista di un contesto completamente diverso leggeva una realtà come questa. L’idea quindi è di continuare a portare avanti questi progetti anche di curatela indipendente, sia con la residenza che con varie collaborazioni che si possono instaurare nel corso del tempo. Sto anche intessendo una serie di rapporti con vari artisti, facendo degli studio visit che potrebbero diventare nel futuro delle collaborazioni con la creazione di mostre, progetti insieme e così via…
Queste sono le prime due storie, se volete scoprire anche le altre, a breve il seguito…
Beatrice Da Lan
Didattica dell’Arte per i Musei #teamdidattica
1 commento
È vietato il lavoro ai non addetti all’ingresso (seconda parte) — Hdemia SantaGiulia | il Blog · 12 Marzo 2019 alle 9:55
[…] eravamo lasciati con le storie di Claudia e Alice. In questo articolo altre tre voci raccontano il loro percorso in Accademia, quello che stanno […]