Cosa è scenografia?
Non ho la presunzione di dare una definizione, ma proverò a descrivere cosa significa per me scenografia.
È un lavoro che durante questi anni non solo ho studiato ma ho anche avuto la possibilità di apprezzare e praticare sul campo.
Vorrei iniziare questa riflessione personale con dei pensieri di Giuseppe Montesano, rubati all’introduzione “La musica dello spleen” de “Lo spleen di Parigi” di C. Baudelaire:
"Nell'aforisma 370 della "Gaia scienza", Nietzsche ha provato a rispondere alla questione: «Che cos'è romanticismo?» e, dopo aver affermato che l'arte presuppone sofferenze e sofferenti, ha scritto: «Ma vi sono due specie di sofferenti: quelli che soffrono della sovrabbondanza della vita [...] e quelli che soffrono dell'impoverimento della vita, i quali cercano riposo, quiete, placido mare, liberazione da se stessi attraverso l'arte e la conoscenza, [...]». Allo stordimento e all'ebrezza della fantasticheria Baudelaire perviene in seguito ad uno spavento, ad un orrore primario; da uno sguardo gettato sulle cose al risveglio dal sogno, un lungo sguardo che gli ha rivelato l'inadeguatezza del mondo a se stesso e quella del proprio io al mondo: il movimento che innesca la poesia di Baudelaire è un movimento di fuga. L'esperienza abissale dello spleen è il segno della prossimità estrema a ciò che è distruttivo, a ciò che svuota le cose di ogni significato, quello spleen che si rivela nel pericolo mortale della noia. Ma la noia è proprio il «desiderio puro della felicità» che non riesce ad incarnarsi nella realtà, [...]. E oblio dalla realtà in una ubriachezza frenetica, è quello che Baudelaire invoca in uno dei poemetti in prosa, il XXXIII: per non essere gli «schiavi seviziati del Tempo» bisognerà «essere sempre ebbri». Ma ebbri di che cosa? «Di vino, di poesia o di virtù - a piacere vostro», è la risposta. Il mondo che può essere trasformato, può essere sospeso nell'illusione dell'ebrezza, che a sua volte sospende e annulla le categorie di bene e di male, considerando anche la virtù soltanto come una possibilità di stordimento, di fuga dalla verità. Ma questa fuga prende anche un'altra strada: quella dei luoghi che sono un sogno realizzato, una riverie incarnata in oggetti, in inviti al viaggio verso paesi che non esistono, verso contrade esotiche: [...] È il regno della riverie, la fantasticheria che ha il compito di stendere un velo sulla realtà, [...] ma l'orrore da cui si fugge non si dissolve nei fumi della fantasticheria, e «chiunque non accetti le condizioni della vita, vende la propria anima» [...]. Nello Spleen de Paris troviamo la descrizione della Chambre double, una camera «veramente spirituale», in cui i mobili «hanno l'aria di sognare: come vivi di un'energia sonnambula», e dove le «stoffe parlano una lingua muta - simili a fiori, a cieli, a soli tramontati». In questo regno separato anche l'orrendo susseguirsi del tempo è abolito: «È scomparso il tempo; e regna l'Eternità, le eterne delizie». Ma a un tratto un colpo risuona alla porta, «come un colpo di zappa nello stomaco», e la camera spirituale si dissolve, simile a un fantasma di sogno: riappare in tutta la sua desolata lordura la vera camera, riprende i suoi diritti «l'insopportabile Vita!», e con la vita il tempo, «che ha rimesso in piedi la sua brutale dittatura». Il colpo di zappa, come in un incubo infero, ha rotto la fantasticheria e ha fatto irrompere la realtà."
All’interno del frammento si possono evincere tre parole chiave nel rispettivo ordine : “fantasticheria”, “fuga”, “realtà”; queste riassumono il mio rapporto con il mondo della scenografia (intendo precisare che con “mondo della scenografia” comprendo anche il costume), essa ha il potere di trasportarmi attraverso le parole, di prosa o di lirica, in un’altra dimensione, di abbandonarmi alle “fantasticherie”, di fuggire dalla realtà che mi circonda.
Si potrebbe azzardare un “paragone storico” con il teatro greco, dove le rappresentazioni teatrali, soprattutto tragedie, assumevano il ruolo di “rito liberatorio”: le vicende mostravano una realtà fittizia più cruda della realtà reale, in questo modo la percezione della vita da parte dello spettatore risultava essere più leggera; lo spettatore veniva “purificato”, veniva “liberato”.
Posta in questi termini la questione potrebbe sembrare “tragica”, ma credo fermamente in questo potere liberatorio da parte della scenografia applicata al mondo del teatro, dove i due elementi uniti formano veramente un connubio “magico”.
La scenografia, per tanto, rappresenta, nel mio intimo, prima di tutto un bisogno e poi un dovere.
La Scenografia mi da la possibilità non solo di “fuggire”, ma anche di scandagliare l’animo umano, conoscere l’uomo e conoscere me stesso (di riflesso), attraverso il lavoro dei grandi drammaturghi, librettisti e compositori che hanno fatto la storia del teatro.
Stefano Mondini
II anno del biennio di Scenografia e tecnologie dello spettacolo
1 commento
Paolo Felici · 27 Novembre 2015 alle 10:37
Cari Studenti,
Stefano Mondini ha cercato da dare una sua interpretazione della scenografia, secondo la sua esperienza. Partendo da qui vorrei tentare di condividere con lui e con voi le mie opinioni, perché la materia non è per niente facile da definire e il tema merita sicuramente un approfondimento. La domanda d’obbligo, apparentemente scontata, è: cosa è la scenografia e cosa fa lo scenografo e, di rimando, come si diventa scenografi. Qualcuno forse penserà che porre queste domande e cercare una risposta sia un esercizio intellettuale un po’ banale, visto che la materia viene studiata in accademia.
Ma io penso che la scenografia sia un apprendimento difficile,
complesso, alla stessa stregua del suo insegnamento: non è affatto facile
insegnare scenografia, anche se molte facoltà universitarie ne hanno
improvvisato dei corsi, affidandoli a figure, spesso rappresentate da
architetti affermati e competenti, che tutto ciò ignorano o conoscono molto
approssimativamente.
Perché lo scenografo è anche: pittore, scultore, falegname, fabbro, un po’ architetto, un po’ ingegnere, un po’ un fisico e un po’ chimico, è un operario e allo stesso tempo il direttore di un cantiere, è fotografo, sarto, filmmaker, regista e quando lavora per un altro regista è il suo alter ego, è uno storico, uno psicologo, un viaggiatore, un esploratore, un trasformista e un po’ anche un prestigiatore, e soprattuto è un poetà. E’ un mestiere difficile quello dello scenografo, molto difficile, più di altri mestieri legate alle belle arti.
Se volete diventare scenografi dovete innanzitutto studiare, approfondire, ricercare e curiosare e poi dedicarvi alla pratica. E anche quando siete intenti a fare pratica, dovete continuare a studiare. Senza mai fermarvi.
Quindi immaginate quanto è impegnativo il lavoro dello scenografo.
Per conludere anch’io come ha fatto Mondini, vorrei proporre un pensiero dedicato allo scenografo greco Dionisis Fotopoulos, scritto dallo studioso e critico d’arte Kostas Georgousopoulos, che credo definica molto bene l’arte della scenografia.
“Fotopoulos disegna prospettive piane, proiezioni, sezioni.
Sceglie materiali che fungono da altri materiali: la carta per “costruire” il muro ciclopico, il gesso sarà trasformato in marmo, il ferro simulerà una trave di legno. E’ come se possedesse i segreti dei vecchi muratori girovaghi, che vagavano in gruppo per l’Europa fino ai Balcani, e con segrete ricette per preparare gli amalgami costruivano cattedrali, palazzi, ville, ponti, teatri, porti, prigioni, fari e impenetrabili castelli, accanto a impalpabili padiglioni di caccia.
Egli conosce i segreti della costruzione navale, dell’argentatura, della calzoleria, del forgiare le armi e dell’incisione ad encausto.
Egli conosce i segreti dell’imbalsamazione, sa come viene intagliato l’ebano, l’agata e il basalto, come viene inciso l’oro, come sono fatti gli stampi. Sa come preparare le leghe di rame e zinco per fare oggetti di ottone.
Sa come venivano tagliati e cuciti gli abiti nell’Egitto dei faraoni, nell’Inghilterra elisabettiana ai tempi del barocco, del rococò, della Riforma, nelle colonie, nello stile imperiale del Messico. Sa come sono le imbottiture delle spalle dei
mantelli del Papa di Roma e quanto differiscano da quelle del Patriarca russo.
Sa quali spade aveva brandito Puskin nel suo fatale duello e che tipo di
pistola aveva impugnato Edda Gabler per suicidarsi. Sa come sono le gambe di un tavolo Luigi XV e come sono quelle di un tavolo di rifugiati a Smirne.
Fotopulos è un poeta e, come tutti i poeti, assimila un’enormità di conoscenze e di esperienze per elaborarle, trasformarle, distorcerle e spesso distruggerle nel suo lavoro, agendo come succede nei meccanismi del sogno, come creatore di un nuovo mondo a partire dai residui di quello vecchio.”…
Paolo Felici
Direttore della rivista di scenografia THE SCENOGRAPHER
http://www.thescenographer.org
Il portale dei registi e degli scenografi teatrali.