Direzione della fotografia: ricostruire gli autori
Da sempre uno degli esercizi più comuni per chi si approccia all’arte è quello di copiare i classici dei Grandi Maestri.
Perché non applicare nel cinema, la settima arte, questo metodo?
Alla fine, citando Vittorio Storaro (il Direttore della Fotografia di capolavori come Apocalypse Now e The Last Emperor), la direzione della fotografia è, in qualche modo, “dipingere con la luce”.
La direzione della fotografia non è infatti solo una questione di gusto estetico, ma nasce anche come disciplina con una forte impronta tecnica.
Basti pensare a quando si girava su pellicola, il DOP era l’unica persona sul set a sapere realmente la resa finale delle immagini, gli altri, regista compreso, avrebbero dovuto aspettare la visione dei giornalieri il giorno successivo per vedere il risultato delle riprese.
Oggi, anche grazie alla tecnologia, questo ruolo esclusivo è in parte venuto meno, ma ancora rimane fondamentale poiché si occupa sia del gusto della luce che della scelta dei mezzi con cui girare (ottiche, camere, tipo di luci) e, mentre il regista dirige la narrazione, il DOP, silenziosamente, la accompagna con le immagini.
Da qui, quindi, l’idea per il corso di Direzione della Fotografia– condotto dal professore Marco Laini – del Biennio Specialistico di New Media Communication dell’Accademia SantaGiulia: a turno, durante ogni lezione, ricreare qualche fotogramma di un film.
Questo esercizio non è solo utile per prendere familiarità con la luce, ma dà anche la possibilità di sperimentare tecniche e stratagemmi per ricreare effetti con mezzi diversi da quelli della reference originale.
Fondamentale per la buona riuscita dell’esercizio, come in un vero set, la suddivisione dei ruoli: può esserci un solo Direttore della Fotografia nel gruppo quel giorno, che decide come affrontare la costruzione della scena, potendosi affidare però a tutti i suoi collaboratori che permettono alla grande macchina della messa in scena di funzionare.
Così, mentre lui decide che luci utilizzare, con che ottiche inquadrare ed i movimenti di camera da fare, gli altri agiscono silenziosamente sotto le sue direttive.
I primi a muoversi sono ovviamente gli scenografi, incaricati di ricostruire fisicamente l’ambiente in cui si andrà a girare: così pareti di case vengono erette, stanze arredate e tavoli apparecchiati; il tutto sostenuto da barracuda e metri di gaffa (che non è mai abbastanza!).
Quando l’ambiente è ormai in piedi è il turno dell’illuminazione: gli elettrici e i macchinisti iniziano, sempre sotto l’occhio vigile dell’incaricato della direzione della fotografia (e anche del professore che osserva tutto da dietro il monitor di regia), a disporre proiettori, polistiroli e bandiere, per poi aggiungere sagomatori e gelatine al fine di controllare a pieno la luce.
Ed è quando si spengono le luci dell’aula, e rimangono solo quelle di scena ad illuminare che si accende la reale magia del set.
Intanto gli operatori, braccio destro del DOP, piazzano le camere: alcune volte fisse, altre su slider o crane, come meglio si congegna a ciò che si vuole esprimere e si preparano a riprendere. Così, tra le mura dell’Hdemia SantaGiulia, riprendono vita scene tratte da capolavori come Pulp Fiction e Taxi Driver.
Ed è dopo aver ottenuto il risultato prefissato dalla reference che si ha la possibilità di sperimentare, di aggiungere del proprio.
Solo dopo aver acquisito la capacità di ricreare si può con consapevolezza creare qualcosa di nuovo, qualcosa che il DOP possa sentire più suo.
Si aggiungono quindi movimenti di camera più articolati, o semplicemente si vanno a modificare le luci per avere un’atmosfera diversa rispetto a quella originale.
Si è quindi pronti a riprendere.
“Motore” dice il DoP, che fa anche le veci del regista in questo caso.
“Partito” risponde una voce nel buio.
Ed è quindi “Azione”.
Francesco Dal Bello
I anno del Biennio Specialistico di New Media Communication
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