Parole d’Artista: l’universo creativo di Giorgio Tentolini

Pubblicato da Hdemia SantaGiulia il

Per noi studenti di Comunicazione e Didattica dell’Arte, dell’Accademia SantaGiulia, il contatto con le opere d’arte è quasi sempre all’ordine del giorno. Ci viene infatti impartita, fin da subito, una rigorosa conoscenza della Storia dell’arte e di Artisti (morti magari già da secoli!), eppure il desiderio di poter conversare con loro direttamente, per scoprire qualcosa di più riguardo alle loro opere, è sempre grande, anche se, purtroppo, questo scambio e confronto restano una cosa decisamente impossibile!

A volte, però, ci capita di confrontarci con artisti contemporanei – tuttora viventi – e questo desiderio inavvicinabile diventa una piacevole realtà. Ed è stata questa la grande opportunità che ci si è presentata in occasione del corso di Didattica dei Linguaggi Artistici

Didattica dei linguaggi artistici: comunicare diversamente le opere d’arte

Al primo anno del Biennio specialistico abbiamo seguito il corso tenuto dal professor Matteo Galbiati, durante il quale abbiamo imparato a leggere e a comunicare diversamente le opere d’arte e a interagire con gli artisti, i galleristi e il pubblico delle mostre. Al fianco dell’esperienza teorica è stata proposta anche, come esperienza pratica, una visita guidata.

Quest’anno ci siamo trovate di fronte a due opportunità ben distinte: la prima, a dicembre, è stata al Museo LAC di Lugano, dove abbiamo condotto una visita guidata alla mostra Signac. Riflessi sull’acqua; la seconda, a febbraio, si è svolta invece allo Spazio Aperto della Galleria San Fedele di Milano, dove è stata esposta la mostra Iconoclastie dell’artista Giorgio Tentolini. Ed è proprio di quest’ultima esperienza che vogliamo parlarvi.

Arte, grafica e moda: le passioni di Giorgio Tentolini

Tutto è cominciato da una semplice domanda del professore: “Che ne dite se visitiamo lo studio di un artista?”. Naturalmente le nostre reazioni sono state del tutto positive: non capita tutti i giorni di visitare lo studio di un artista, di “mettere il naso” all’interno del suo universo creativo. La nostra felicità è aumentata quando il professore ci ha svelato finalmente il nome dell’artista e, mostrandociun’ampia selezione di sue opere che ci hanno lasciano letteralmente senza fiato per la loro bellezza ed eleganza, ci ha rivelato che avremmo incontrato proprio Giorgio Tentolini, giovane artista cremonese, classe 1978, il quale, oltre all’arte, si dedica anche alla moda e alla grafica.

Ci siamo lasciate talmente prendere dall’entusiasmo e ci siamo tutte appassionate così tanto alle opere di questo giovane artista, che la semplice visita al suo studio non ci bastava più. Volevamo sapere di più sulla sua arte e sul suo essere artista. Ed è così che è nato in noi il desiderio di intervistarlo. Ci siamo preparate con cura tutte le domande che volevamo porgli e abbiamo atteso con trepidazione il fatidico giorno dell’incontro.

Era un piovoso venerdì di gennaio quando finalmente carichiamo in auto tutte le attrezzature necessarie per registrare l’intervista e lasciamo Brescia per raggiungere Casalmaggiore, paesino in provincia di Cremona, dove si trova la casa-studio di Tentolini. Con il professore Galbiati, ci accoglie a casa sua. Come benvenuto, e per farci sentire a nostro agio, ci offre subito un caffè e una deliziosa torta alle noci, prima di portarci a scoprire la sua casa, arricchita dalle sue meravigliose opere che si trovano un po’ sparse ovunque. Poi ci svela finalmente il suo magico studio, dove ci fa sbirciare alcune opere a cui sta ancora lavorando.
È stato veramente molto disponibile a rispondere alle nostre numerosissime domande che nascevano spontanee ogni volta che ci mostrava un altro angolino della casa-studio.
Quando finalmente la nostra curiosità è quasi del tutto sazia, giunge il momento tanto atteso di preparare le attrezzature e dare il via alle riprese dell’intervista. Giorgio non nasconde una certa emozione, non è abituato ad essere ripreso, ma fa un grande respiro ed è pronto ad iniziare a rispondere a tutte nostre domande:

Giorgio Tentolini

Intervista all’artista Giorgio Tentolini

Data la tua formazione di grafico come ti sei ritrovato a fare arte diventando un artista?

Ho sempre realizzato le mie opere contemporaneamente al mio lavoro di grafico. Sono cose nate assieme e quindi per me funzionano con la stessa logica, con la stessa peculiarità. Il lavoro di grafico mi è utile per avere delle sicurezze e allo stesso tempo per non essere troppo focalizzato solo su una cosa che è l’arte. Questa diventa un’esigenza ed è per quello che ho scelto di mantenere entrambe le occupazioni nella mia vita.

Visto il tuo lavoro nel campo della moda, come questo ha determinato soggetti e modelli della tua produzione artistica?

Ho scelto di lavorare nella moda perché è legata a un tipo di estetica che vedo vicina ai miei lavori, e quindi un lavoro sulla bellezza del corpo e contemporaneamente sul trascorrere del tempo, perché la moda è comunque legata a una stagionalità e a un passare di trend.

Come nasce una tua opera e quale metodologia segui?

In genere lavoro per indagine, quindi faccio una prima ricerca storica o iconografica di tutto quello che per me rappresenta il soggetto da seguire e il tema della mostra che devo costruire. Tante volte l’opera nasce di conseguenza: si forma dalla ricerca dei miei progetti passati, perché ogni opera è frutto della precedente e, allo stesso tempo, si vanno ad aggiungere vari livelli e metodologie di lavoro.

Quali sono i tuoi punti di riferimento in campo artistico? Chi è stato determinante? Chi ti ha aiutato nel tuo percorso di formazione?

Io sono partito come autodidatta, infatti, non esco da scuole di specializzazione d’arte, se non l’istituto d’arte. Ho lavorato molto sul campo e quindi sono debitore a tutte quelle persone che nel corso degli anni mi hanno dato la possibilità di esporre e di far crescere il mio percorso artistico.

Che difficoltà o che problematiche incontra un artista emergente nel campo del mercato dell’arte attuale?

Beh… è risaputo, questo non è un periodo facile per un artista. Il mercato è abbastanza bloccato. Ad ogni modo c’è possibilità di esporre e ci sono ancora tanti spazi che ospitano il lavoro degli artisti e l’arte comunque non si ferma. I momenti di crisi sono da intendersi come opportunità per poter continuare a esporre e per finalizzare in maniera concentrata il proprio lavoro.

Con quali materiali hai iniziato il tuo lavoro? Come si sono evoluti e come sono cambiati nel tempo? Come sei arrivato ad attuare scelte così non convenzionali?

Per me la coerenza è fondamentale. Ho voluto sempre seguire un filone anche se ho avuto tentazioni per spostarmi su altri generi. Sono partito come disegnatore, ma ho smesso subito di disegnare, perché per me era fondamentale continuare un percorso e cercare di indagarlo nella maniera più coerente possibile. Quindi sono partito a lavorare sulla fotografia nel 2003 e ho continuato nel corso degli anni ad aggiungere tasselli alla mia ricerca.

All’interno di questa scelta, quali materiali prediligi e perché?

Non ci sono materiali che prediligo. Come dicevo prima è un lavoro di analisi e quindi affronto i temi, e di conseguenza scelgo soggetti, a seconda dell’occasione espositiva del momento.

Sono la tecnica e il materiale a influenzare la scelta del soggetto, oppure il contrario?

Per me spesso è proprio il materiale il vero protagonista dei miei lavori. Il soggetto viene in secondo piano e serve per accompagnare la tecnica stessa, infatti scelgo quest’ultima ancora prima del soggetto da rappresentare.

Data la tua peculiarità di una tecnica espressiva legata ai materiali, chi secondo te è così connotato nell’uso esclusivo del materiale con cui crea arte?

Sono diversi gli artisti che hanno influenzato il mio percorso e, a seconda del progetto che devo sviluppare, ne prendo a riferimento rispetto ad altri. Mi rifaccio soprattutto a Gormley per l’uso dei materiali e la sovrapposizione di questi e la poesia con la quale riesce a tirarli fuori. Ci sono tanti altri artisti, cito per esempio Penone, artista per me è stato importantissimo, che ha fatto una serie di lavori che avrei voluto fare io; è proprio uno di quei maestri in cui ritrovo un’invidia positiva. Sono comunque tanti altri gli artisti che ho preso a riferimento, per esempio Ansel Kiefer o Marina Abramovič.

Quanto tempo impieghi per pensare e realizzare un’opera? E quanto conta il tempo della meditazione sul lavoro e sul soggetto?

La parte fondamentale del mio lavoro è proprio la ricerca. Il lavoro che viene successivamente è quasi sempre metodica, perché si tratta della realizzazione dell’opera in sé. Ma è proprio la progettualità che sta alla base del mio lavoro. Ogni progetto è comunque frutto dei precedenti e quindi dichiarare il tempo di ogni singola opera per me è riduttivo. Sono progetti che vanno avanti da anni.

Quali temi e soggetti affronti e con quali parametri li scegli?

In genere lavoro sempre su un concetto di memoria. Una memoria legata alla natura, legata al tempo, labile e veloce, una memoria superficiale e una memoria profonda. Lavoro sulla stratificazione, sullo svelamento e sulla rivelazione. Sono questi gli aspetti che cerco di percorrere nei miei progetti. Nella scelta dei soggetti e dei materiali, quindi, vado a sviluppare un lavoro che si lega tanto alla loro sovrapposizione quanto a quella del tempo.

E quindi, come mantengono il legame con la realtà i tuoi soggetti e come invece accedono magari ad altre dimensioni?

Parto sempre da un dato reale, che sia un’immagine fotografica piuttosto che un’opera della storia dell’arte. Mi serve partire da qualche cosa di reale per poi poterlo trasfigurare, per poter trovare un’altra visione, un altro modo di percepire l’opera stessa.

Per questa mostra (Iconoclastie n.d.r.) ti sei concentrato su opere perdute, distrutte, cancellate per sempre. Che cosa hai scelto e che cosa accomuna questa scelte?

È stata una scelta difficilissima. Non nascondo un certo panico quando ho deciso di affrontare questo tema. È sterminato il panorama delle opere perdute ed è stato davvero difficilissimo, a tratti doloroso, poter scegliere determinati soggetti. Ho deciso di affidarmi alle tematiche, di fare una piccolissima campionatura che fosse il più possibile esemplificativa di quello che volevo comunicare.

Il luogo dove lavori è legato alla tua famiglia. Come questo influenza il tuo modo di lavorare e il senso del tempo?

Penso che sia una cosa che riguarda qualsiasi persona, non solo me. Nel senso, tutti portiamo nel nostro intimo quello che è stata l’individuale e personale esperienza.

Questa posizione interviene anche nella tua concezione del rapporto tra arte antica e contemporanea?

Io penso che sia impossibile fare arte senza conoscere l’arte antica o l’arte di tutti i tempi. Nel senso, l’arte è studio, l’arte è ricerca, altrimenti si finisce per essere naïf.

L’uso del bianco e del nero, la prevalenza di luci e ombre è una scelta determinata dal materiale oppure è necessaria all’esito del lavoro?

Entrambe le cose. Il bianco e il nero escludono tutta una serie di componenti emozionali. Quando ricorro al colore, lo utilizzo perché, in quel momento, voglio comunicare determinate sensazioni.

Quando intervieni utilizzando il colore? E come lo scegli?

Il colore è una parte fondamentale perché ha la sua valenza iconica e ha la stessa importanza della scelta di un’immagine. Spesso non utilizzo colore ma proprio perché non voglio dare connotati simbolici ai miei lavori. Voglio che siano legati a una a-temporalità.

Come la meticolosità della tecnica determina l’emotività dell’idea dell’immagine?

Il tempo che dedico alla realizzazione di un mio progetto è il tributo al progetto stesso. La meticolosità tante volte è anche un modo per concentrarmi e per fare focus su un singolo progetto, per esorcizzare il mio disordine.

Quale carattere, attitudine e personalità hanno i tuoi personaggi e cosa rispecchiano di te, cosa conservano della tua personalità?

Senza dubbio c’è tanto di me nei miei progetti perché nascono dalla mia esperienza (a volte ci sono io nelle mie opere, a volte i miei famigliari, i miei amici…), però vorrei che i miei lavori fossero, il più delle volte, slegati da me, come se questi diventassero dei soggetti universali.

Stratificazione, leggerezza, latenza e trasparenza sono concetti evidenti nella tua poetica. Come ti relazioni con questi principi?

Le due parole chiave dei miei progetti sono svelamento e rivelazione. Si tratta di svelare le emozioni tramite la stratificazione, perché esse sono stratificate in ognuno di noi.

Quando hai avuto la consapevolezza di sentirti veramente un artista?

Sono state le circostanze a mettermi in questa posizione. Ho cominciato a fare mostre nel 2002 in maniera naturale, come se dovessi farle, è nata come un’esigenza. Forse è questo che mi fa dire di essere un artista: l’esigenza di dover fare opere legate ad un determinato concetto e a uno sviluppo artistico.

Quando pensi che uno spettatore abbia pienamente compreso le tue opere?

Una persona capisce veramente il mio progetto quando ne vede uno sviluppo, quando ci vede un potenziale per creare cose nuove.

VISITA GUIDATA ALLA MOSTRA ICONOCLASTIE

Quando finalmente finiamo le riprese è pomeriggio inoltrato, siamo tutti esausti, ma felici di questa esperienza meravigliosa e, dopo aver ringraziato Giorgio per la sua disponibilità e la sua accoglienza, ripartiamo per tornare a casa.

Ma non è finita qui. Infatti al professore già prima dell’intervista era venuta un’idea: condurre una visita guidata alla sua mostra a Milano, così come avevamo già fatto per quella di Signac a Lugano. Il fatto di aver conosciuto in prima persona l’artista e di aver visto in anteprima le opere inedite che saranno poi esposte alla mostra, ci ha dato nuovi e maggiori stimoli per poter strutturare la visita guidata al meglio.

Così, un plumbeo sabato di febbraio, siamo partite alla volta di Milano, dirette allo Spazio Aperto della Galleria San Fedele, dove sono state esposte le opere di Giorgio Tentolini in una personale curata dal professor Galbiati e organizzata nell’ambito del Premio Arti Visive San Fedele, al quale l’artista aveva partecipato nelle edizioni precedenti e che ora è stato chiamato per esporre le sue opere in questa personale come riconoscimento e omaggio al successo conseguito con la sua ricerca artistica negli anni successivi alla partecipazione al premio.

La mostra, intitolata Iconoclastie, ha proposto cinque serie completamente inedite di opere di Giorgio Tentolini che, per l’occasione, ha lavorato e riflettuto sui capolavori dell’arte e dell’architettura che, nel corso dei secoli, sono andati perduti o sono stati danneggiati, per mano dell’uomo oppure a causa di calamità naturali.

È una storia di bellezza perduta e cancellata per sempre, che è stata gettata nell’oblio e che si tenta di ridestarla e rievocarla per mezzo della creazione di visioni evanescenti e fuggevoli. Queste immagini sono rese potenti attraverso un uso sapiente dei materiali, tipico nella ricerca di Giorgio Tentolini, che utilizza materiali semplici e immediati come strisce di carta, pagine intagliate, veli e stratificazioni, che gli diventano funzionali per evocare al meglio l’idea di fugacità ed evanescenza, propria di questa bellezza perduta, che, però, mai nessun gesto o atto distruttivo potrà cancellare del tutto, perché essa continuerà a vivere nella memoria del tempo.

Riflettendo, quindi, su questo tema, l’artista ha proposto le sue cinque serie:

• Degenere, dedicata a Ernst Ludwig Kirchner, uno dei maggiori artisti censurati durante il periodo nazista;

• Iconoclaste, che rimanda a fatti di cronaca recente e al fanatismo iconoclasta dell’Isis;

Giorgio Tentolini, Iconoclaste, 2016-17, 45x30 cm, carta pergamena bianca intagliata e sovrapposta a fondale nero
Giorgio Tentolini, Iconoclaste, 2016-17, 45×30 cm, carta pergamena bianca intagliata e sovrapposta a fondale nero

• Incongrue, in cui si riportano alla luce gli affreschi di Pontormo andati distrutti nel periodo della Controriforma;

• Vulnerabili, che ricorda tre opere d’arte antica andate perdute in seguito a un incendio, nonostante fossero conservate nel rifugio antiaereo
berlinese preposto a salvaguardare le opere dei musei tedeschi;

Giorgio Tentolini, Vulnerabili, 2016-17, 110x52 cm, stampa laser su circa 5400 strisciline di carta bianca
Giorgio Tentolini, Vulnerabili, 2016-17, 110×52 cm, stampa laser su circa 5400 strisciline di carta bianca

• Reduci, che si focalizza sugli edifici sopravvissuti a devastazioni, causate dall’uomo o dalla natura, che hanno annientato l’ambiente a loro circostante.

Molto agitate abbiamo condotto la nostra visita guidata alla mostra – il gruppo di visitatori erano appassionati d’arte iscritti al Corso del CPIA di Monza nella sede di Desio – sotto gli occhi vigili del professore e con un ospite speciale: Giorgio Tentolini stesso, il quale ha integrato e arricchito le nostre parole con la sua personale esperienza artistica, affascinando il pubblico che lo ascoltava rapito.

La nostra è stata, quindi, un’esperienza positiva e costruttiva, non solo perché abbiamo potuto mettere in pratica, attraverso la visita guidata, quello che di solito studiamo sui libri – e vi assicuriamo che l’esperienza diretta non è mai come quella che si progetta sulla carta, ma anzi ci aiuta a metterci in gioco e a toccare con mano il contatto diretto con il pubblico – ma anche perché abbiamo avuto la grandissima opportunità di confrontarci con un giovane artista contemporaneo, il quale ci ha rese partecipi della sua elegante e meravigliosa ricerca artistica.

Alice e il #teamdidattica


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