Paese che vai, crepa che trovi

Pubblicato da Hdemia SantaGiulia il

Andrea Francolino racconta il tempo che non può fermare

Andrea Francolino è uno degli artisti più coraggiosi dal punto di vista della capacità di continuare a evolvere nel linguaggio, nel cambiare il proprio percorso in base a quella che è un’urgenza interiore.

Per i ragazzi dell’Accademia il passaggio dal percorso del triennio alla prosecuzione specialistica del biennio è un passaggio di grande messa in crisi, di grande frattura, perché attraversano a 360 gradi il linguaggio della disciplina che hanno scelto di studiare e di far diventare il loro mestiere.
Il caso dell’artista Francolino è un caso ibrido: è coraggioso perché mescola le discipline, ma riesce sempre ad uscirne con una certa cifra stilistica.

Il 20 maggio 2020 durante la lezione di Ultime tendenze nelle arti visive, Andrea Francolino ha incontrato online i ragazzi del terzo anno di Pittura e Scultura e dei bienni specialistici di Arti Visive Contemporanee e Scultura Pubblica Monumentale, per dare ai ragazzi una panoramica di quello che è il percorso che compie un giovane artista e come si evolve il linguaggio dell’arte.
E perché no, anche qualche utile consiglio!


RIPORTIAMO DI SEGUITO ALCUNI PASSAGGI DELL’INTERVISTA

L'artista Andrea Francolino.
Andrea Francolino – https://www.instagram.com/andrea_francolino/

LO STUDIO

Cecilia Zenari – Corso di Pittura, 3° anno

  • Da che cosa è nato lo studio sull’immagine della crepa?

A.F.: “Io sono una persona pignola, quasi esasperante per chi mi sta di fianco. Più che sull’immagine della crepa mi interessa analizzarne il concetto, credo che l’immagine sia stata per questo tipo di elemento più un problema, è sempre stata concepita come qualcosa di negativo. Il mio lavoro è quello di trasmettere un concetto più oggettivo del termine: né negativo, né positivo perché la crepa così è, dipende dagli eventi. Essa per me è un elemento universale

Da dov’è nata è importante, ho sempre rifiutato la patinatura non nel senso più scultoreo del termine, ma da un punto di vista concettuale. Per me la realtà è fatta di difetti e quei difetti sono motivo di analisi. La crepa è l’emblema di un elemento che rientra nel difetto e io lo analizzo da tutti i punti di vista, attraverso tante forme disciplinari. È sempre stata presente in tutte le evoluzioni del mio lavoro.

La sua analisi è avvenuta in Svizzera molti anni fa. Le strade avevano questi polipi neri siliconati, erano le crepe del manto stradale che erano chiuse, questo mi faceva sorridere perché si cercava di eludere un difetto, ma non si faceva altro che renderlo ancora più visibile. Da lì ho cominciato ad analizzare quello che è l’impossibilità dell’uomo di poter fermare le cose in divenire, inizialmente la vulnerabilità delle sue cose“.

  • La crepa nel suo lavoro è leggibile come rivincita della natura  sull’artificialità spaccando il cemento e cercando di riappropriarsi dei suoi spazi?

A.F.: “È una considerazione, ma non è solamente un aspetto. Il bello della tematica che affronto io può contenere all’interno moltissimi argomenti. Ogni giorno mi preoccupo di cosa può essere per me l’analisi sulla crepa, poiché la si può analizzare dal punto di vista filosofico, religioso, scientifico. Moltissime cose si generano da una rottura e trovo che questo sia la tematica più ampia che permette di affrontare moltissimi temi.

Una cosa per cui dobbiamo combattere è la libertà di poter esprimere quello che sentiamo senza paura di giudizi, di mode e di tendenze. Tutti tendono a dare un’etichetta perché hanno bisogno di riconoscere delle cose, ma non bisogna necessariamente essere di moda. La cosa più importante è essere contemporanei: le mode passano la contemporaneità si alimenta piano piano, ogni volta che il percorso di un artista va avanti.

Io personalmente ogni volta che finisco un lavoro vado in crisi, un po’ come la crisi dopo il triennio. Ma questa crisi è fondamentale perché è da essa che si genera qualcosa di positivo successivamente”.

Opera di Andrea Francolino.
Andrea Francolino – www.francolinoandrea.com

IL MESSAGGIO

Lorenza Romeo – Corso di Pittura, 3° anno

  • Qual è il messaggio che si vuole far passare al fruitore attraverso i lavori, i numeri, i segni che fa?

A.F.: “Appena ho affrontato il tema della crepa, della rottura e di tutto ciò che ne consegue, partivo analizzando vulnerabilità dell’uomo e di tutto ciò che realizza. Con il tempo ho scoperto di poter analizzare la crepa da molti punti di vista al punto di andare in giro per il mondo a tracciarle, avevo l’esigenza di scrivere sotto le coordinate satellitari e quindi dare una dimensione spaziale. Il mio lavoro è reale, è riprodotto attraverso un’azione che io faccio senza troppe alterazioni sulla carta che mi porto dietro.

I numeri erano completati con l’orario, i minuti e i secondi con la data perché il processo temporale della materia si unisse a quello spaziale. Ecco come la tematica universale della crepa abbraccia tante forma disciplinari.

È un concetto che mi ha dato estrema libertà al punto di poterla arricchire con le coordinate geografiche, minuti e secondi, quindi quest’illusione di poter fermare il tempo, cosa che è impossibile da parte di chiunque”.

  • La sua arte si concentra sulla dicotomia tra uomo e natura, quanto è importante per lei unire elementi opposti, ma concettualmente simili?

A.F.: “In teoria io non li unisco, è un risultato che ne consegue in automatico. Una frattura, che è vuoto, si contrappone a due elementi pieni, automaticamente ne nasce una dicotomia tra vuoto e pieno. Se io racconto la crepa del manto urbano inevitabilmente, nascendo una pianta, si contrappone una dicotomia tra la natura e l’artificio

Il fascino di analizzare la crepa mi ha messo di fronte all’analisi della dualità. Questo tema è quasi un risultato che ne consegue, più che una ricerca che faccio. C’è un confronto tra uomo e natura, perché analizzando le cose dell’uomo si interfacciano con quelle della natura, con quelle del creato. Ecco perché io stesso quando mi scrivono dei testi, quando mi fanno interviste depenno la parola creare, non è una parola che amo venga associata al mio lavoro. Perché potrei fare anche delle opere meravigliose, ma il mare o una montagna non saprei come farle e quelle ritengo siano opere migliori delle mie”.

“Io non creo, realizzo.”

Cit. Andrea Francolino
Andrea Francolino, Performance of a Plant.
Andrea Francolino, Performance of a Plant  – www.francolinoandrea.com
  • Cosa ne pensa dell’arte contemporanea oggi, pensa che stia rispecchiando la nostra società?

A.F.: “Chiesta ad un artista la risposta può essere un po’ caotica. Riconosco che è sempre più presente una sensibilità sull’aspetto del tema della natura, dell’ecologia. Una cosa che non amo negli artisti che affrontano queste tematiche è non considerare una coerenza nell’atto della pratica del lavoro. Ad esempio se io parlo del problema dei ghiacciai, è impensabile per me che si stacchi un ghiacciaio per raccontarlo; l’artista non è più importante di qualcun altro, soprattutto se si parla di rispetto della natura

Questo è un motivo per cui i miei lavori sono una sintesi processuale materica cercata. Serve una coerenza anche dal punto di vista della realizzazione, ad esempio: la terra è un elemento pulito, la carta lo è altrettanto e nel caso di alcuni miei lavori non ho bisogno di altri elementi. Rispecchia la società che stiamo vivendo questa sensibilità sulla natura da parte degli artisti e in questo caso guardo attentamente la pratica con cui realizzano il loro messaggio”.

I LEGAMI

Stefano Riboli – Corso di Pittura, 3° anno

  • Nei tuoi lavori è evidente il legame tra uomo e natura, da dove nasce?

A.F.: “Il mio legame con la natura nasce dal punto di vista del rispetto che provo per essa, anche solo guardando il mare e la montagna. Io come artista mi sentirò sempre inferiore rispetto a un’opera d’arte di tale portata.”

Cerco in un’opera di scatenare una sensazione che nasce da un sentimento di riverenza che ho nei confronti della natura: sono convinto che un’opera d’arte passi di moda, un elemento della natura rimane comunque bello in tutte le ere.

cit. Andrea Francolino
  • Ha dei luoghi a cui si sente particolarmente legato?

A.F.: “Uno è quello che ho lasciato quando ho deciso di trasferirmi, Matera. Una città lucana, sono cresciuto tra i vicoli di questa città, respirando tutta la metafisica che questo luogo sapeva darmi. Un altro luogo che amo molto è la montagna, mi affascina perché mi manifesta tutta quella potenza materica… Sono affascinato soprattutto dalla sua parte scultorea.

E poi tanti luoghi che facendo le crepe in giro per il mondo mi porto dietro rispetto ad altri. Non ho mai legato dei luoghi alle crepe se non attraverso le coordinate di riferimento perché non volevo che diventassero delle cartoline dal mondo, ma che la gente partisse dal concetto.

Mi porto dietro delle esperienze, la natura in tutto il mondo è affascinante e credo che ci saranno altri luoghi che amerò.”

Andrea Francolino, Performance of a plant
Andrea Francolino, Performance of a plant – www.francolinoandrea.com

Samuele Rongoni

  • Ha un rapporto personale con i materiali che utilizza nelle sue opere?

A.F.: “La terra ultimamente è un materiale che amo molto, la utilizzo nei lavori perché trovo che sia un materiale pulito. Ho sperimentato prima il cemento, andavo nei cantieri quando c’erano dei grandi cumuli di macerie e li setacciavo.

Gli elementi da cui sono partito sono stati polvere di cemento di terra, un paio di anni fa ho sperimentato anche l’acqua per diventare ancora più puro nell’utilizzo della materia rimanendo sempre fedele alla coerenza della mia ricerca“.

Ester Faustini – Corso di Pittura, 3° anno

  • Cosa rappresenta per lei la crepa e la rottura?

A.F.: “Tutto. Passo dallo studiare filosofia della scienza ad arrivare allo studio della crepa dal un punto di vista più materico. Mi affascinano tutte le discipline.
Inizialmente sono partito analizzando la vulnerabilità dell’uomo e di tutto quello che fa rispetto alla natura.

Oggi sono arrivato a studiare la termodinamica poiché mi sono reso conto che in essa c’è qualcosa che mi può suggerire nuovi lavori, racconta un processo in divenire degli elementi.”

  • C’è un’opera in particolare della quale si sente rappresentato?

A.F.: “Questa è una domanda molto intima da fare ad un artista perché probabilmente è affezionato a più lavori. Ci sono dei lavori che ho più a cuore anche per la sofferenza che mi hanno provocato.

C’è un lavoro che mi ha causato molta fatica, l’ho amato, odiato e amato nuovamente.
L’opera si chiama “From 12 Marzo 2015  to 12 Marzo 2016”, andavo ovunque con una bisaccia, all’interno polvere in cemento e fogli di carta hahnemühle in giro per il mondo, dovevo raccogliere le crepe che incontravo.

From Milano to Basel
Andrea Francolino, From Milano to Basel – www.francolinoandrea.com

La prima lotta che c’è da fare è con la fretta, poiché spesso non genera dei buoni lavori.

Un anno di lavoro è davvero tanto, quando si comincia c’è l’entusiasmo. Quello è un lavoro a cui sono molto affezionato, quando l’ho visto montato in tutta la sua grandezza (12 m) ero orgoglioso di averlo realizzato, avevo giurato di non rifarlo più ma un giorno ho deciso che, dopo aver fatto quello in cemento era giusto dargli quello in terra.
Così ho cominciato un nuovo percorso il quale doveva concludersi ad Aprile, purtroppo la pandemia ha condizionato questo processo. 

Ho deciso di non fermare il lavoro, volevo lasciargli una traccia di questa pandemia senza essere banale e scontato. Vi è una traccia di questo momento storico all’interno dell’opera. Quindi le crisi sono necessarie nel lavoro perché ci fanno misurare con quella che è la nostra convinzione nell’affrontare questo percorso.

Altre opere a cui sono affezionato sono “Caso x caos x infinite variabili”, le opere in vetro.
Circa tre anni fa uscendo da una mostra a Milano, ho visto una stampa ordinaria di Picasso buttata all’angolo della strada con un vetro rotto. Quel vetro rotto era per me una crepa trasparente che mi permetteva di vedere attraverso da una parte e dall’altra, non solo dalla fessura ma anche dal materiale di cui era composta. Sono tornato in studio e ho deciso di fare un lavoro con quel vetro che si era rotto casualmente.

Per un anno non è nato nulla e avevo capito che dovevo ragionare per dicotomia per opposti. Quindi il contrario di un vetro rotto casualmente è uno sano su cui ricostruire una rottura casuale: ne ho preso uno intero della stessa misura di quello precedente e l’ho tagliato con il diamante nello stesso modo in cui l’altro si era rotto. Li ho messi in versi opposti e ho scoperto che dalla disarmonia di una rottura nasceva l’armonia infinita.
Questo processo include quattro vetri, il primo è una rottura casuale e gli altri tre sono la sua riproduzione e il tutto posizionato nei suoi versi opposti.

È nata così quella che io chiamo “la mia teoria del tutto” a cui ho dato il nome di “Caso x caos x infinite variabili”.”

Margherita Bobbo – Corso di Pittura, 3° anno

  • Può parlarci del suo pensiero circa la relazione tempo, spazio e crepe?

A.F.: “La crepa è un concetto così universale che può contenere qualsiasi riflessione in merito. Il tempo è inevitabile che sia presente all’interno della crepa: la crepa è una lancetta temporale di un percorso che inizialmente nasce polvere e alla fine ritorna ad essere polvere. Lo spazio inevitabilmente è all’interno perché spesso il vuoto, che è spazio all’interno di una crepa, si può analizzare all’infinito.”

  • Rimane più affascinato circa l’aspetto che una crepa mostra in superficie o quello che essa rappresenta in termini di profondità?

A.F.: “Già dalla domanda si può capire quanto analizzando la crepa si possono abbracciare tante discipline. Ade esempio, leggendo dei buchi neri mi sono reso conto di quanto anche di questa disciplina ci sia all’interno della tematica da me affrontata.

A me della crepa interessa ciò che sta in superficie, ciò che sta in profondità, e ciò che non so ancora ci sia dall’altra parte, la materia oscura che si trova all’interno di essa”.  

  • La fragilità può diventare un punto di forza?

A.F.: “Si, la fragilità è un punto di forza, un eterno partire da zero, è sicuramente la condizione psicologica che bisogna avere per individuare sempre idee nuove. Uno stato mentale a cui io mi abituo affinché non cada nella sedentarietà creativa è il sentirmi sempre precario, nella precarietà c’è anche lo stimolo per misurarsi sempre e migliorarsi ogni giorno”. 

IL PERCORSO

  • Come si è evoluto il suo percorso di artista nel tempo?

A.F.: “Spero che la mia storia sia da stimolo per tutti o almeno per alcuni di voi. Le condizioni con le quali sono partito non erano facili. Partivo senza soldi, non sapevo dove andare, non c’erano le condizioni per rimanere al sud. Ricevo una chiamata dal San Fedele di Milano, mi chiedono di salire a Milano per parlare del mio lavoro ad un pubblico. Sono partito subito, avevo solo un pieno quindi un solo “colpo da sparare”. Dopo un viaggio infinito sono arrivato al San Fedele per parlare del mio lavoro, non è stato subito apprezzato il mio intervento, però da questa crisi non ne ho fatto una tragedia, anzi ne ho fatto uno stimolo. Mi ero promesso che da lì fino a quando avrei compiuto 35 anni quel premio l’avrei vinto, ed è stato così”. 

Bisogna essere testardi per andare avanti, bisogna sempre documentarsi. Io sono una persona curiosa, leggo di tutto e mi sono reso conto che la curiosità, anche nella lettura, da la possibilità di azionare i neuroni per possibili nuove idee.

Quando sono stato selezionato per il premio, un mio parente di Varese mi ha concesso la sua casa per poter fare i miei lavori. Ho vissuto per un anno con 80,00 € al mese e li investivo nell’arte. Piano piano sono riuscito dopo tanti anni a vincere quel premio, a fare la mia prima mostra, a vendere un’opera. Ora ho uno studio a Milano, lavoro con diverse gallerie (Galleria Mazzoleni di Torino e Londra, Galleria Frittelli di Firenze, Galleria nm>contemporary di Montecarlo), il lavoro poco alla volta ha preso piega.

Non è stato sicuramente un percorso facile e automatico, ci vuole forza, coraggio e curiosità.”

Mall of America
Andrea Francolino, Mall of America – www.francolinoandrea.com
  • Al termine dell’esecuzione di un suo lavoro, una volta esposto, pensa di trovarsi ad un punto di arrivo o di partenza?

A.F.: “Ogni volta che finisco un lavoro vado in crisi. Penso che la mia carriera d’artista sia finita, ma dopo qualche giorno di crisi subentra di nuovo quell’energia tale per cui mi rifaccio a nuove intuizioni e scopro nuovi lavori da portare avanti.

La motivazione è una delle cose che ti porta avanti. A me è stata cara, negli anni insieme a G.L.Marcone artista/curatore e con gli artisti David Reimondo e Valentino Albini abbiamo messo in piedi a Milano lo spazio No Profit di Open Box in un’epoca in cui la crisi stava decimando le gallerie. Abbiamo deciso di aprire degli spazi in cui mostrare il lavoro di altri artisti. 

Il bello dell’arte è che la curiosità può spaziare anche attraverso il far vedere il lavoro di un altro artista. Non bisogna aver paura del confronto con altri Maestri d’arte.”

Giulia Ferretti – Biennio Arti Visive

  • Lei all’inizio ha parlato dell’impossibilità di fermare il tempo da parte dell’uomo. Però il suo “tener traccia” di queste crepe non è un tentativo di renderle statiche?

A.F.: “È un paradosso, e proprio per questo manifesto il mio limite. La possibilità di mettere le coordinate consente di andare a vedere in quale luogo si trova una crepa e quindi trovarsi di fronte alla condizione oggettiva che quella crepa è evoluta con il tempo.”

From Milano (Italia) to Basel (Schweiz)
Andrea Francolino, From Milano (Italia) to Basel (Schweiz) – www.francolinoandrea.com

“Un artista è un limite, umano, e quel limite è dettato anche dal fatto che io non posso fermare il tempo”.

Cit. Andrea Francolino

Editing Natasa Radonic,
III anno di Web e Comunicazione d’impresa


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