Tra caos, fotomontaggi, e il maestro Yoda. I musei al tempo dei social.
Questo non è un altro articolo sui laboratori con i bambini
Se fermassimo una persona, che per caso sta passeggiando fuori da via Tommaseo (sede della nostra Accademia), e gli chiedessimo come si immagina un museo, la sua risposta si avvicinerebbe all’immagine di una struttura imponente, magari di marmo, che incute timore e venerazione.
Maria Teresa Balboni Brizza nel suo libro Immaginare il museo (se vuoi lo trovi su Amazon) descrive con parole perfette quell’immagine:
«Poi ci sono i vecchi musei. Quelli dell’immaginario collettivo. Nelle loro sale deserte, fredde d’inverno, soffocanti d’estate, i passi risuonano. La luce è scarsa, non per rispetto dei lux prescritti ma perché qualche lampadina è bruciata. I cartellini sbiaditi sono scritti a macchina, spesso corretti a penna, talvolta giacciono rovesciati come insetti caduti sul dorso e un rettangolo più chiaro, sul tessuto di fondo della vetrina, ricorda la collocazione originaria».
Ma il museo non è solo questo, non è un magazzino che conserva e custodisce dei reperti della storia, o come è stato definito da Quatremére de Quincy un lager della conservazione; ma il suo scopo principale è quello di mettere a disposizione il patrimonio. Conservare, è solo uno dei tanti verbi in cui il museo si deve coniugare; quindi acquisire, conservare, comunicare ma soprattutto reinterpretare, riuscire a rileggere non solo il passato attraverso gli oggetti, ma anche il futuro e il presente.
Se l’immagine più comune di museo è quello di un luogo impolverato dove gli oggetti e le opere sembrano rimanere silenziosi e dove al pubblico sembra venir chiesto di entrare e percorrere le sale in punta di piedi, come fare per stravolgere e cambiare questa idea?
Sicuramente i social, che sono oggi il veicolo più immediato per comunicare, possono e dovrebbero diventare il megafono per promuovere cosa avviene all’interno e all’esterno del museo. Come sempre in Italia il percorso è più lento e faticoso, e soprattutto arriva con largo ritardo rispetto alle istituzioni di altri paesi europei.
Se l’accusa che non si può fare ai musei italiani è quella di non avere un patrimonio consistente, quella sicuramente più pesante è quella, non solo di non saperlo comunicare, ma di non aver la capacità di attrarre il pubblico.
Abbiamo musei con opere eccezionali che non sono minimamente conosciuti e, spesso, di conseguenza visitati.
Ci sono istituzioni, però, che stanno cercando di scardinare non solo l’idea di un museo chiuso nelle sue torri dorate, ma anche che la visita non possa essere divertente oltre che istruttiva.
Una delle case history sicuramente più interessanti è quella della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino che riesce, attraverso i social network e una comunicazione tutta sua, ad ampliare il pubblico attraverso l’ironia ma soprattutto l’autoironia.
Se non la seguite già su Instagram e Facebook, interrompete un attimo la lettura per farlo.
(pausa pubblicitaria con musica d’ascensore per chi già segue la Fondazione Sandretto)
Se avete seguito il mio consiglio e avete iniziato a scorrere il feed di Instagram o la loro pagina Facebook, vi sarà subito saltato all’occhio che i contenuti che pubblicano sembrano tutto meno che provenienti dalle pagine social di un’istituzione pubblica. Infatti, laddove i comuni musei pubblicano foto delle opere esposte nella collezione permanente o in una mostra; i social della Sandretto pubblicano anche le opere e i visitatori, ma li utilizzano inserendoci meme, fotomontaggi, riferimenti al cinema, alla cultura di massa o alla messaggistica istantanea.
Di questo universo, governato dal caos, sul trono vi è Silvio Salvo: Social Media Manager della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, persona e personaggio, che abbiamo incontrato grazie al corso di Progettazione Multimediale II della professoressa Alessia Marsigalia.
Durante l’incontro, a cui purtroppo il Maestro Yoda non ha potuto partecipare, ci ha guidato però come solo un Gran Maestro dell’Ordine Jedi potrebbe fare, spiegandoci le basi e le idee che stanno dietro alla loro comunicazione in particolare modo sui social media.
La Fondazione Sandretto si occupa di arte contemporanea ed espone sia artisti affermati che artisti emergenti, cosa che è sia un punto di forza che un punto debole della fondazione. Dialogando con l’arte del nostro tempo, più che con un altro museo, deve fare i conti con la contemporaneità.
Durante l’incontro Silvio ci spiega:
«L’arte contemporanea è il qui ed ora e la memoria di domani, quindi noi non possiamo prescindere dal linguaggio contemporaneo se comunichiamo un museo d’arte contemporanea. Sarebbe un ossimoro. Poiché siamo all’interno del presente dobbiamo adeguarci ai linguaggi del presente».
Per questo i social della Sandretto e il suo Social Media Manager cavalcano l’onda di quello che accade non solo nella storia contemporanea ma ancora più l’immediato, in quello che accade in questo preciso momento.
«Tutti i post che vedete nascono nella mia testa tre minuti prima, non ho mai programmato nulla, tutto dipende molto da cosa diventa virale: una regola è che, se su Facebook tremila amici pubblicano la stessa notizia, intuisco che quella stia diventando virale e si parlerà di quello durante il giorno. Io faccio questo lavoro per far entrare in testa questo maledetto lunghissimo nome, faccio molto lavoro sul brand oltre a promuovere le mostre e le attività. Uno dei miei lavori è far entrare in testa il nome Fondazione Sandretto o anche solo Sandretto, noi esponiamo la nicchia della nicchia dell’arte contemporanea».
Ma quindi, cosa li differenzia dalle altre istituzioni?
«I social delle altre istituzioni fanno un ottimo lavoro: promuovono in maniera impeccabile il patrimonio culturale ma ho sempre la sensazione che facciano fatica a raggiungere un target diverso da quello abituale. È molto autoreferenziale. I social ti mostrano le informazioni in maniera caotica; è l’algoritmo che decide, e il pubblico, che potenzialmente puoi raggiungere, è più vasto del solito pubblico dell’arte contemporanea. La Fondazione Sandretto cerca di scardinare il paradigma che l’arte contemporanea è per pochi eletti attraverso l’infocaosteinment».
Questo modo di comunicare è stato definito dallo stesso Silvio Salvo infocaosteinment perché si occupa di informare, creare caos e intrattenere ed è frutto di una riflessione che in lui nasce dopo la visione del film Il cavaliere oscuro di Christopher Nolan, in particolare da una frase che pronuncia il personaggio di Joker:
(non guardare il filmato seguente – la frase che conta è scritta sotto – se sei sensibile a: sangue, armi, ancora sangue, …)
«Se introduci un po’ di anarchia, se stravolgi l’ordine prestabilito, tutto diventa improvvisamente caos. Io sono un agente del caos. E sai qual è il bello del caos? È equo».
Questo è il motivo della comunicazione della Sandretto, rendere equa e alla portata di tutti, intercettare un pubblico più vario possibile che altrimenti non sarebbe mai venuto in contatto con la Fondazione o con l’arte contemporanea in generale.
È lo stesso Silvio a dircelo:
«Io sono interessato quando comunico ai possibili interessi del visitatore o di quello che voglio accalappiare e quindi se è un invasato di Black Mirror ben venga ma se è un invasato di uomini e donne assolutamente benvenuto. I post sono tutti esempi di supercontaminazioni. Comunichiamo le attività intercettando i gusti culturali e le tendenze più attuali, stimoliamo suggestioni, intratteniamo, mettiamo in scena il caos e lo traduciamo in uno scenario che supera i confini tra i vari linguaggi.»
Silvio Salvo, un re senza corona o forse neanche un re. Non si siede sul trono dettando leggi su cosa e come comunicare, fa proprio il concetto di caos come livellatore. Sui social della Sandretto chiunque può ritrovarsi, chi oggi, chi ieri in base al riferimento che viene proposto. È proprio qui che volevo arrivare: “ogni cosa sarà spiegata a suo tempo”.
Forse la figura di Silvio è più simile a Maria de Filippi che ad un re. Seduto su delle scale immaginarie tiene le fila della trasmissione, non su una sedia diversa, talvolta più comoda come la maggior parte dei conduttori, ma in una posizione defilata ma comunque centrale, distaccata ma immersa nel pubblico, regge le trame di quello che vuole comunicare, osserva il caos perché come dice Silvio Salvo: «The medium is the mess age».
Poi non c’è che dire, già mi vedo il maestro Yoda con una parrucca bionda dire: «no Maria io esco!».
Beatrice Da Lan
Didattica dell’Arte per i Musei #teamdidattica
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