Abitare in Africa: gli edifici sostenibili e le case in bambù per un futuro migliore
Le architetture diffuse in Africa affondano le loro radichi storiche in questioni ambientali, culturali e climatiche, oltre che storiche e legate alle condizioni di vita delle popolazioni.
Qui, vi abbiamo parlato dei tipi di materiali utilizzati, oltre che delle decorazioni tipiche e delle forme d’arte che provengono da un background legato al sistema abitativo dell’Africa.
• Gli edifici sostenibili
La scuola di Kibera, a Nairobi
A Nairobi è nata una scuola realizzata in materiali locali e sostenibili per iniziativa di un gruppo di mamme e di associazioni del luogo che hanno promosso l’intervento.
La Konkuey Design Initiative, infatti, è l’associazione no-profit che si è occupata della realizzazione di questo edificio a sostituzione delle preesistenti e fatiscenti strutture; i materiali prevalentemente adoperati sono legno, bambù e fango.
Il legno certificato, proveniente da foreste gestite in modo sostenibile, è stato adoperato per la costruzione dell’intelaiatura portante, mentre le pareti esterne del piano terra, seguendo un’antica tecnica costruttiva, sono state erette in canne di bambù e fango. Le pareti del primo livello, invece, sono costruite con nuove lamiere metalliche.
Il progetto ha rappresentato un forte momento di collaborazione tra progettisti, lavoratori e abitanti della comunità. L’architettura, in particolare in luoghi con problematiche economiche e culturali evidenti, può diventare strumento di rinascita e cooperazione.
Il Korando Educational Center, in Kenya
In Kenya, invece, un giovane tedesco, Torsten Kremser, insoddisfatto della sua vita, incontra una donna africana di sessantadue anni, Mama Dolphine, il cui dolore per la perdita di due dei suoi figli nello stesso anno la spinge a riprendere in mano la sua vita.
Si convince che dalle tragedie può nascere qualcosa di buono e così sogna di creare un luogo accogliente per i numerosi orfani della città in cui vive in Africa.
Insieme decidono di realizzare l’orfanotrofio, una struttura ecosostenibile, capace di educare e offrire vitto e alloggio ai bambini orfani di genitori vittime di AIDS: nasce così il Korando Educational Center.
L’orfanotrofio s’ispira a un progetto di Steve Areen in Thailandia e si compone di strutture a quattro cupole, costruite da otto volontari alla volta, che contengono camere, bagni e una zona centrale usata come soggiorno e area sociale.
La Red Pepper House, sull’Isola di Lamu
In un’ottica fortemente rispettosa della natura nasce il progetto Red Pepper House, una casa immersa nella foresta realizzata dallo studio di architettura spagnolo URKO Sanchez Architects.
È un esempio di architettura organica, che dialoga con la storia, la tradizionale architettura swahili e la natura dell’isola di Lamu, in Africa orientale.
La forma unica del progetto, deriva dalla volontà di salvaguardare la vegetazione presente e, quindi, di costruire solo nelle zone non occupate dagli alberi.
Questa decisione ha permesso di avere un’alternanza di spazi aperti e chiusi, soleggiati e ombreggiati, tenuti uniti da una copertura continua.
Il senso dello spazio, le tecniche costruttive e i materiali appartengono alla cultura swahili. La copertura è realizzata mediante l’utilizzo di un telaio in pali di legno di mangrovie, con sovrastante manto in makuti.
Queste tipiche “tegole” keniote sono realizzate con foglie di palma di cocco intrecciate e legate tra di loro. Gli unici ambienti chiusi della casa sono le camere da letto, realizzate in pietra corallina e di forma cubica.
Al fine di garantire basse emissioni di carbonio e dato il clima soleggiato dell’isola, il progetto prevede due diversi dispositivi di raccolta di energia solare; lo scaldacqua solare e le cellule fotovoltaiche.
L’orfanotrofio di Nakuru, in Kenya
Nel 2014, a Naruku, piccola cittadina del Kenya, in Africa, i lavoratori delle periferie agricole sono stati coinvolti nel processo di costruzione partecipata di una casa famiglia che accoglie i bambini svantaggiati e abbandonati della zona.
A differenza dei comuni edifici della zona, solitamente eretti in pietra e cemento, che si presentano spesso ancora incompleti a causa delle difficoltà dei proprietari a reperire i fondi necessari a completarli, l’orfanotrofio di Naruku è in terra locale.
Il materiale da costruzione è stato ricavato dagli scavi effettuati per strutturare le fondazioni. Essi, grazie alla grande capacità di assorbimento del calore diurno, funzionano da accumulatori di calore e sono in grado di regolare la temperatura degli ambienti interni.
Il progetto “Un Tetto per Tutti”, in Mozambico
Un Tetto per Tutti è un progetto, promosso da TimeForAfrica, in cui si è cercato di promuovere un’architettura moderna e sostenibile nei Paesi in Via di Sviluppo: questa è la motivazione profonda della proposta progettuale, che comporta una certa responsabilità, un valore etico-sociale in cui l’architettura è un modo per migliorare le condizioni di vita di chi vi abita.
L’intento del progetto, pertanto, è quello di soddisfare l’ingente domanda di alloggi con l’introduzione di tecnologie costruttive appropriate, a basso costo, con cui poter realizzare abitazioni salubri e allo stesso tempo accessibili economicamente alle famiglie disagiate.
Luogo del progetto pilota è il Mozambico e, in particolare, una zona rurale vicino alla capitale, Maputo.
Queste costruzioni riflettono i principi del costruire tradizionale basato sulla stretta relazione tra l’uomo, l’ambiente esterno e la cultura locale.
Il modulo abitativo è costituito da un rettangolo di dimensioni 6×12 metri, la cui superficie effettiva calpestabile corrisponde a molte delle abitazioni tradizionali familiari di base circolare, presenti in Mozambico.
Ogni alloggio è parte di un insieme di altri moduli abitativi che danno vita ad un villaggio circolare al cui centro è collocato un albero, elemento ripreso dalla tradizionale cultura abitativa africana, per la quale esso rappresenta il luogo di ritrovo del villaggio stesso.
Ogni modulo abitativo ha, al suo interno, un piccolo cortile attorno al quale si affacciano le stanze della casa. Questo spazio verde, seppur ridotto, può essere adibito ad orto e contribuire al sostentamento delle famiglie.
• Le case in bambù
Leggero, flessibile, resistente, sostenibile.
Le proprietà del bambù sono innumerevoli e non stupisce che, specie negli ultimi anni, sia stato rivalutato come materiale per le costruzioni. Disponibile in grandi quantità in natura, anche per via di una crescita molto veloce è, inoltre, estremamente economico.
Da un punto di vista di sostenibilità ambientale non soltanto è un prodotto naturale, ma pare abbia la capacità di assorbire quantitativi di anidride carbonica maggiori rispetto ad altre specie di arbusti. Secondo gli ultimi dati dell’Inbar, International Network for Bamboo and Rattan, un ettaro di bambù sarebbe in grado di catturare 30 tonnellate di CO2 nell’arco di una decina di anni.
Grazie alla flessibilità e alla sua struttura cava e tubolare che nel corso dei millenni si è evoluta per adattarsi e resistere al forte vento del suo habitat naturale, il bambù ha sviluppato delle ottime proprietà meccaniche. La sua robustezza, con delle prestazioni molto simili a quelle dell’acciaio (non a caso è stato ribattezzato l’acciaio vegetale), lo rende ideale come materiale antisismico.
Jacob Kibwanga è il direttore del progetto di un’iniziativa dell’Università di Maseno che promuove l’uso del bambù. Il progetto, sta lanciando la costruzione di case economiche fatte di bambù nelle aree Mau e Kakamega del Kenya occidentale.
Secondo uno studio del 2007, circa il 60% degli abitanti del Kenya sono contadini che sopravvivono con meno di 2 dollari al giorno in case inadeguate fatte spesso di fango e poco ventilate. Nelle città, le domande di alloggio hanno raggiunto le 150 mila unità all’anno contro una produzione annuale di circa 50 mila unità.
Secondo un programma dell’Onu, l’insufficienza di abitazioni ha causato nelle città sovraffollamento, proliferazione di bassifondi e zone degradate e alloggi di qualità inferiore.
Il progetto Dal tabacco al bambù è stato lanciato dalla “Scuola per l’ambiente e gli studi sulla terra” dell’università di Maseno, nel 2006. È iniziato come attività di ricerca per incoraggiare la coltivazione e l’utilizzo del bambù come mezzo di sostentamento alternativo alla coltivazione del tabacco ed ha successivamente costruito scuole materne e altre strutture abitative.
Maseno ha educato 240 piccoli agricoltori alla coltivazione del bambù, istituendo 120 zone con campi di sperimentazione. Lo scopo è quello di formare 20 mila agricoltori per sfruttare il bambù nei prossimi 15 anni.
Anche in altre parti del mondo hanno compreso le qualità e i vantaggi che può offrire il bambù
Il terremoto di magnitudo 7.8 che ha colpito l’Ecuador ha provocato oltre alle perdite in termini di vite umane, anche il crollo di circa 7mila edifici.
A differenza delle case e scuole realizzate in cemento armato, che sono andate distrutte nella maggior parte dei casi, le costruzioni in bambù hanno invece resistito.
Un altro caso è quello del Nepal. Per la ricostruzione è stato scelto il bambù come materiale da privilegiare, sia per i rifugi di emergenza sia per le abitazioni definitive. Dopo il via ad alcuni edifici residenziali, è arrivato anche l’ok a un piano per la realizzazione di 8.000 edifici scolastici.
Sarebbe possibile pensare di adottare anche noi questi modelli architettonici?
Va detto che il bambù ha ancora diversi limiti.
È un materiale che tende a contrarsi e ad espandersi al contatto con grandi quantitativi di acqua o in caso di forti sbalzi di temperatura, ed è anche molto suscettibile all’attacco di funghi e insetti.
Ci sono chiaramente una serie di accortezze e di soluzioni per arginare questi problemi. In Europa mancano ancora standard e certificazioni che ne consentano un utilizzo su larga scala, anche se negli ultimi anni, grazie al boom del green building e anche all’interesse di alcuni noti architetti, dal tedesco Frei Otto, allo statunitense Richard Buckminster Fuller, fino al nostro Renzo Piano, il bambù sta iniziando ad essere considerato come valida alternativa, non solo di cemento e acciaio, ma anche del legno.
Ibuku, in Indonesia
La designer Elora Hardy realizza case, anche di sei piani, interamente in bambù.
Insieme ad un team formato da designer, architetti e artigiani, Elora ha fondato Ibuku, a Bali. Il termine è l’unione di due parole importanti: madre (ibu) e mia (ku).
Un nome che vuole richiamare la madre Terra e il rapporto profondo che l’umanità ha con lei. Ibuku ha creato strutture utili per la popolazione indonesiana. Con il bambù, inoltre, è stato costruito un ponte, sopra un fiume, lungo ben 22 metri.
Il bambù si presta a costruire case sostenibili particolari, diverse dalle abitazioni convenzionali o dai prefabbricati in legno, che sfruttano dei materiali da costruzione di forma più regolare.
A parere dell’esperta, proprio la struttura tipica del bambù, che in edilizia crea qualche difficoltà, può essere sfruttata in modo nuovo per creare case con una struttura curvilinea, molto luminose e allo stesso tempo confortevoli.
La rivoluzione del bambù non si ferma solo alle strutture esterne delle case, dato che i progettisti di Ibuku hanno deciso di creare anche mobili sostenibili quasi interamente realizzati in bambù con l’aggiunta di altri materiali locali.
Resistenti alle alluvioni, le case in bambù sono anche molto economiche: costano poco meno di 2500 euro ciascuna.
Gaia Vezzoli
II anno del corso di Decorazione – Interior Design
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