La macchina del tempo: viaggio a ritroso nel laboratorio di tre artisti
Sono sul treno, di rientro a casa. Oggi abbiamo visitato tre artisti durante il corso di Elaborazione Digitale dell’Immagine con il professor Alessandro Mancassola. Alla fine di una giornata così, piena di stimoli, non posso che guardarmi indietro, e ripensare a ciò che ho visto…
Si potrebbe dire che, nonostante i metodi di ricerca e le poetiche diverse, il tempo è un elemento che lega indissolubilmente questi artisti.
L’ultimo artista che abbiamo conosciuto è stato Lupo Borgonovo, che è anche un insegnante. Siamo andati a trovarlo nel suo laboratorio per capire meglio cosa crea e quali siano le sue ispirazioni.
Ci ha accolto calorosamente nel luogo, che è un po’ proiezione del suo essere.
Qui troviamo alcuni studi di opere che non hanno (ancora) trovato una loro forma definitiva. Per lui questi non sono altro che dei pensieri non ancora risolti e li conserva continuando a rimuginarci nella speranza che trovino una loro identità.
Crea delle sculture a partire da alcuni oggetti che nel quotidiano lo ispirano per via della loro texture, forma o emozione che trasmettono. Nelle sue sculture troviamo spesso oggetti trasformati dal tempo, che è uno strumento fondamentale della sua produzione artistica, o calchi in gomma che riproducono le forme di frutti provenienti dal quartiere multietnico dove lavora.
Abbiamo visto alcune sue opere, somiglianti a delle barche in metallo che reggono alcuni oggetti che l’artista raccoglie su un’isola vicino a Venezia, dove sono lasciati in balia della natura e vengono trasformate dal tempo che passa.
In queste opere che esplorano la commistione tra naturale e artificiale troviamo del polistirolo da cui escono delle conchiglie, o delle palline di gomma completamente trasformate dal tempo, simili a frutti rattrappiti. A sua detta questa è una produzione inutile, che esalta però il pensiero e il processo creativo.
Durante le sue esposizioni cerca inoltre di far dialogare le sue opere, sia per tratti comuni che per la diversità dei materiali. Il suo profilo Instagram è una sorta di diario in cui raccoglie alcuni di questi spunti, e ci permette di entrare un po’ in contatto con il suo mondo interiore.
La sua ricerca è tuttavia orizzontale e non si limita solo alla scultura, ma si estende anche al disegno e alla pittura, esplorando sempre nuovi modi per esprimersi.
Realizza dei disegni, ad esempio, in cui ritrae degli elementi di suo interesse su fogli piegati utilizzati solitamente nel restauro, che poi bagna, dando vita ad alcune opere all’apparenza enigmatiche. Oppure dipinge dei soggetti usando l’olio e incidendo in seguito alcune parti della superficie.
È sempre alla ricerca di nuovi materiali e di nuove tecniche, e spesso produce grandi quantità di studi e bozze in tempi brevissimi decidendo se scartare o mantenere ciò che crea.
Questo processo aiuta Lupo Borgonovo a capire cosa cerca davvero e crea dunque a modo suo: facendo!
Prima di Lupo abbiamo visitato Francesco Pedrini alla Galleria Milano, dove ci ha guidato attraverso le sue opere esposte.
Francesco Pedrini è un artista e un insegnante che si esprime attraverso disegno, pittura, scultura e video.
Siamo andati a visitare la sua mostra Gli strumenti del cielo, dove lui stesso ci ha illustrato cosa volesse trasmettere attraverso le sue opere. In questo caso, le opere sono nate come ricerca sulla relazione tra cielo e uomo.
Troviamo la serie dei Momenti, quadri realizzati facendo cadere dei pigmenti su un foglio. L’operazione stessa dura un momento: ispirandosi all’etimologia della parola, l’artista soffia le polveri sul foglio e misura, indicandolo nel titolo, il tempo necessario affinché si disperdano.
L’artista non ha il pieno controllo sul risultato e l’opera, nella sua esecuzione, diventa ciò che rappresenta, un momento, una sorta di istantanea di un processo intenzionale, ma quasi casuale che ci ricordano i negativi dei cieli stellati.
Per quanto riguarda la serie dei Tornadi, l’artista vuole sempre congelare un momento durato un istante, ma lo fa con un approccio radicalmente diverso.
Partendo dai negativi delle fotografie negli archivi dei siti di meteorologia di alcune trombe d’aria, produce delle copie spargendo strati di pigmenti con pennelli, sforzandosi di non lasciare segni del suo operato.
L’operazione è tutt’altro che semplice, la realizzazione di queste opere arriva a richiedere mesi di meticolosa attenzione, badando che anche il proprio respiro o l’ambiente intorno all’opera non disperdano le polveri.
Queste opere non sono né disegni poiché non hanno segno, né dipinti poiché non hanno medium acquoso. Sono pura forma.
Le sculture cha abbiamo visto infine, gli Strumenti, si ispirano agli ascoltatori del cielo: quei soldati che durante la prima guerra mondiale, prima dell’invenzione del radar, dovevano individuare gli aerei basandosi sul proprio udito.
Per farlo costruirono degli oggetti simili a dei corni o a delle trombe che amplificassero il suono. Attraverso delle fotografie l’artista ne ha costruite delle copie funzionanti, che andranno, tutte insieme a comporre un’opera video.
Il primo spazio che abbiamo visitato è il laboratorio di Spazienne.
Il professor Mancassola e Nicolò Colciago, uno dei membri del collettivo, ci hanno accolto alla stazione di Garbagnate Milanese, dove stranamente siamo arrivati tutti in orario e senza nessun disperso.
Ci hanno guidato verso lo spazio creativo, dove Nicolò ci ha spiegato il funzionamento del laboratorio e del collettivo.
Spazienne, infatti, è composto da cinque artisti: Alberto Bettinetti, Federica Clerici, Nicolò Colciago, Stefano Comensoli e Giulia Fumagalli.
La loro idea è quella di trovare altre soluzioni, altre modalità per esporre il proprio pensiero artistico rispetto a quelle proposte dal sistema attuale.
La gestione di ciò che si fa in ogni suo aspetto, a partire dall’idea fino alla realizzazione dei manifesti, è la colonna portante dei loro progetti.
Nessuno ha dei ruoli fissi nel collettivo e i membri si contaminano l’un l’altro. L’idea è quella di non avere degli spazi fissi, i loro progetti si attivano in aree urbane, nei boschi, e non sono legati ad un unico luogo.
La loro ricerca è legata agli oggetti e ai materiali e spesso la produzione è effimera: essa rimane solo una documentazione digitale. Il loro sito internet è un po’ la loro casa base e il loro archivio.
Il progetto Dislivello, di Nicolò e Stefano, è nato due anni fa in collaborazione con Dolomiti Contemporanee. L’obiettivo del progetto è quello di percorrere a piedi la distanza che separa il laboratorio di Spazienne e Borca di Cadore percorrendo il percorso più breve possibile, senza aggirare i dislivelli, ma attraversandoli.
Percorrere un simile tragitto a piedi riporta ad una dimensione più umana delle distanze e del tempo: hanno percorso a piedi una distanza che è possibile coprire in poche ore d’automobile.
Prima di incamminarsi Nicolò e Stefano si sono sottoposti ad un allenamento fisico e mentale e si sono fissati degli obiettivi. Non tutti sono stati raggiunti nonostante i due abbiano fatto il possibile per riuscirci. Questo non è sintomo di un fallimento, ma di un’evoluzione del progetto, in cui si scontrano idea ed esecuzione.
“La cosa bella è la voglia di provare e scardinare un po’
quelle che sono le proprie sicurezze,
mettersi in gioco per provare a superare i propri limiti”
– Nicolò Colciago
Il logo del progetto, da cui gli artisti hanno creato uno stencil che hanno applicato lungo il percorso, nasce dall’idea di unire urbano e montagna. Il profilo può rappresentare tanto il tetto di una fabbrica milanese quanto il profilo di una montagna, si muove tra artificiale e naturale.
L’applicazione dello stencil sulle varie superfici è stato un tema della loro ricerca.
L’autogestione e l’indipendenza, valori saldi del gruppo, sono state un po’ messe da parte e i due artisti non hanno avuto esitazioni a chiedere aiuto in caso di necessità. Il percorso è stato raccontato in un diario su Instagram attraverso i post e le storie.
Durante le soste gli artisti hanno composto delle sculture utilizzando dei materiali trovati lungo il tragitto, che hanno poi abbandonato.
Il bivacco stesso in cui i due artisti hanno dormito è stato realizzato, e poi smontato, da loro utilizzando materiali di recupero. Al loro ritorno hanno realizzato una mostra in cui hanno concretizzato le esperienze vissute durante il viaggio.
Piccolo esercito, invece, è un progetto composto da alcune sculture che rappresentano i soldati di un piccolo esercito, ma non solo. Queste sono più che semplici esperienze: comprendono un dj set e delle poesie, non hanno una data prestabilita e durano un solo pomeriggio.
Vengono lanciati dei teaser in cui si annuncia che avverrà una battaglia e vengono fornite le coordinate. Chi vuole può prendere parte liberamente all’evento. E le battaglie, curiosamente, prendono il nome da piante che crescono spontaneamente.
Sono sul treno e sono stanco, ho dormito poco e sono le 8 del mattino, sono curioso di sapere cosa mi aspetta oggi…
Chadi Reda
Studente del III anno della Scuola di Pittura
#teampittura #llexhibit
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