Intervista doppia ai vincitori della XXIII edizione del Premio Treccani degli Alfieri

Pubblicato da Hdemia SantaGiulia il

Lunedì scorso, il #teamdidattica ha preso la decisione di andare ad intervistare Camilla Gagliardi e Alberto Acerbi, per raccontarvi di loro e di cosa fanno. Perché proprio loro due? Vi starete sicuramente chiedendo: chi sono?

Camilla, studentessa di Scenografia e Arti Visive, e Alberto, laureando in Decorazione Artistica, lo scorso dicembre hanno deciso di partecipare al Premio Treccani che quest’anno si è svolto nella sua XXIII edizione. Già solo il nome dell’evento ha un sapore importante: Treccani è pur sempre il fondatore dell’Enciclopedia italiana, quella che chiunque di noi si è ritrovato a dover consultare e che ancora adesso ci accompagna nelle nostre ricerche grazie alla trasposizione digitale dei contenuti.

Il premio, indetto dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Montichiari, fino all’anno scorso rivolto ad artisti già affermati, quest’anno ha subito un repentino cambiamento, decidendo di rivolgersi ai giovani artisti di età compresa fra i 18 ed i 35 anni. Lo stesso Assessore alla Cultura, nonché docente presso la nostra Accademia, Basilio Rodella ha affermato «Era giunto il momento, pur salvaguardando le indubbie qualità di questo Premio, di svecchiare le edizioni cercando di puntare soprattutto su ragazzi, studenti, giovani desiderosi di impegnarsi con la creatività. Per questo ricerchiamo iscritti a scuole artistiche, membri di associazioni culturali, universitari o studenti delle accademie di Belle arti». Il premio, dunque, si pone come obbiettivo quello di stimolare la riflessione sull’arte contemporanea nel territorio italiano: un tema che a noi, studenti delle accademie italiane, sta molto a cuore!

Alberto e Camilla hanno saputo cogliere, come si suol dire, la palla al balzo e non ci hanno pensato due volte ad iscriversi al concorso, sperando di vincere l’ambito premio: una mostra personale presso il Museo Lechi di Montichiari, lo stesso scelto come Ente ospitante dell’evento.

 

Al Museo Lechi di Montichiari durante l'inaugurazione

Al Museo Lechi di Montichiari durante l’inaugurazione

Sabato 21 gennaio è stata così inaugurata la mostra collettiva contenente i lavori dei partecipanti, divisibili in quattro tipologie: pittura, scultura, fotografia e video. Durante l’evento, a gran sorpresa per tutti, sono stati annunciati ben quattro vincitori, qualcosa di mai visto!

La giuria ha ritenuto che sarebbe stato riduttivo premiare una sola persona poiché, rispetto al resto dei partecipanti, i quattro artisti premiati si sono dimostrati non solo creativi, ma estremamente all’avanguardia e quindi artisticamente maturi: doti che non bisogna dare per scontate in un’epoca in cui la possibilità di diffusione ed esposizione al pubblico dei propri lavori rende il mondo dell’arte estremamente vasto e pieno, se così si possono definire, di avversari.

Camilla Gagliardi e Alberto Acerbi, entrambi studenti dell’Accademia di Belle Arti di Brescia SantaGiulia, sono rispettivamente i vincitori del premio per la fotografia e la scultura; la Redazione di Didattica non poteva rimanere indifferente a ciò e per questo, siamo andate a scovare i due giovani artisti, per porgli qualche domanda e vedere che consigli hanno per chi vorrebbe intraprendere questa impervia strada!

RAGAZZI, COMINCIAMO CON L’INTERVISTA!

Il tema libero non è certo frequente nei concorsi artistici. Nonostante ciò si nota subito il forte carattere di protesta che accomuna le vostre opere, come avessero un filo conduttore, ce ne vorreste parlare?

A: Credo che la riflessione sulla figura umana sia ciò che accumuna le due opere; nel mio caso ogni lavoro nasce da qualcosa che mi colpisce, di conseguenza l’espressione diviene una personale esigenza.
La mia rappresentazione è un archetipo dell’uomo che è esposto e mercificato come se fosse imbrigliato in una teca da museo. Il groviglio di fili che lo compone rappresenta le esperienze, i vizi, le virtù, le unicità che plasmano l’essere umano il quale, purtroppo, sempre più spesso si deve omologare secondo i dettami della società. La luce, in questo caso, diviene lo strumento che proietta e mette in risalto la complessità e le singolarità di ogni individuo.

 

C: Le mie fotografie nascono per far riflettere: con quest’opera ho trattato il tema della dipendenza, difatti il titolo scelto è In Dipendenza, un gioco di parole che rivendica la libertà. Se apparentemente potrebbe sembrare un semplice ritratto, in realtà, come tutte le altre mie opere, è frutto di ricerche storico-sociali sulla condizione della donna nel tempo. L’immagine è studiata per nascondere al suo interno riferimenti simbolici e grafici che creano una composizione ricca di stimoli. L’opera ritrae una donna alienata, cieca, che si protende verso la fonte del suo disagio: più si spinge in avanti, più il cappio che porta al collo si stringe, causandole una morte lenta e invisibile. Il cappio è la dipendenza (che sia da alcool, fumo, droghe ma anche anoressia): una vera malattia neuropsichiatrica, che colpisce proprio chi è più sensibile.

E sulla scelta dei materiali? Mi spiego, che rapporto avete con i materiali, e quindi anche le tecniche, che utilizzate? È l’opera che ne influenza la scelta o, viceversa, tendete a prediligerne alcuni e questo, dunque, risulta decisivo sulla scelta dei lavori da realizzare?

A: I materiali, come anche le tecniche, sono per me degli strumenti: utilizzarne alcuni piuttosto che altri, significa scegliere il mezzo più appropriato per esprimere un concetto; un diverso materiale significa diverse caratteristiche, ognuna adatta ad uno scopo diverso. Nel mio caso, quindi, solitamente è l’opera, la sensazione che voglio trasmettere che influenza tecnica e materiale.

C: L’opera è il frutto di un lungo lavoro di post produzione sulle fotografie dei soggetti, in cui tutto ciò che li circonda viene fotografato in un secondo momento in base alla tematica da trattare. La scelta del supporto è caduta, finora, sulla tela in modo da dare la sensazione di trovarsi davanti ad un dipinto, richiamando così il contrasto tra passato e presente. Devo dire però che i miei progetti futuri prevedono materiali molto più innovativi come ad esempio il plexiglass: questo perché sento il bisogno di sperimentare, portare la fotografia oltre il supporto, rendendola tridimensionale.

 

 

Ci avete parlato del vostro lavoro e di come vi rapportate con l’arte durante la realizzazione di un’opera; il vostro lavoro mi interessa molto e penso che il riconoscimento del Premio vi potrà aiutare nel realizzarvi ed affermarvi come artisti. A questo punto, quindi, mi sembra doveroso porvi una domanda: qual’è secondo voi il fine ultimo dell’arte?

A: L’arte è un linguaggio, è una forma espressiva che possiede la peculiarità di essere universale. Per me chi utilizza un canale artistico deve mantenere il giusto equilibrio tra etica ed estetica: il lavoro per essere efficace deve possedere un contenuto, un messaggio ma, allo stesso tempo, deve attrarre lo spettatore provocando riflessioni, discussioni e sentimenti differenti.

C: Marina Abramovic sostiene che il fine della sua arte è quello di disturbare e al contempo lenire la società: io mi trovo molto vicino a questa filosofia, solo che la metto in pratica in un modo diverso. L’arte è il mezzo più immediato ed universale per parlare alle persone e, questo, voglio che sia il fine della mia: io punto ad un’arte che lasci ai suoi spettatori un’esperienza e che di questa si nutra. Sono le interpretazioni, le emozioni, di chi vive l’opera dall’esterno che la rendono tale, che la completano. L’opera d’arte c’è quando passa dalla testa dell’artista a quella dello spettatore.

Grazie ragazzi per averci dedicato un po’ del vostro tempo, speriamo che, leggendo quest’intervista, oltre che portare qualche visitatore alla mostra (che rimarrà aperta fino al 11 febbraio) e successivamente alla collettiva che vi vedrà protagonisti assieme agli altri vincitori, molti altri giovani artisti decidano di osare un po’ di più per mostrare al mondo le proprie idee.

#teamdidattica


Info sulla mostra:
Premio Treccani degli Alfieri – fino all’11 febbraio
da mercoledì a sabato dalle 10 alle 13 e dalle 14.30 alle 18;
domenica dalle 15 alle 19.
Museo Lechi di Montichiari
via Martiri della Libertà 33
Ingresso libero


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